Scialpinismo nelle Orobie


Le precipitazioni nelle aree montane

1 – In Italia e nel Mondo

 

In vel di nebbie ascosa la montagna
Manda a la valle un'aura fredda e mesta,
E la valle ed il monte e la foresta
Lenta la piova ed incessante bagna.
Giovanni Camerana, Giorno di pioggia
(sui monti tra Valle d'Aosta e Valsesia, attorno al 1870‑1890)

 

Gran parte della pioggia del mondo cade sulle montagne.

Le montagne sono un po' come dei condensatori fissi, che favoriscono il sollevamento delle masse d'aria umida, il loro raffreddamento e la conseguente formazione di neve e pioggia. E’ evidente che non basta che ci sia una monta­gna perché piova: serve anche l'umidità. Per questo le montagne più piovose sono quelle vicino agli ocea­ni, mentre quelle più asciutte sono quelle nel cuore dei continenti, lontano dalle fonti d'umidità.

Nel mondo si possono trovare un po' tutte le configurazioni: mon­tagne isolate in mezzo all'oceano, dove piove solo da una certa quota in sù ma su tutti i versanti (sul Monte Waialeale, nelle isole Hawaii, dove la pioggia cade per 350 giorni all'anno), montagne isolate do­ve a causa della direzione costante dei venti piove solo su un versante (il Monte Teide a Tenerife), grandi massicci montuosi continentali dove non piove quasi mai (l'Hoggar, al centro del Sahara), grandi catene montuose esposte da ogni lato a venti umidi dove piove equamente un po’ dap­pertutto (le Alpi), grandi catene montuose dove l'a­ria umida arriva sempre da una direzione, così che un versante è piovosissimo, l'altro desertico (le Ande Patagoniche, l'Himalaya).

E’ proprio nelle zone costantemente investite dai flussi umidi o soggette alla regolare alternanza del monsone che si manifesta­no le più elevate quantità di precipitazioni note al mondo: il versante indiano dell'Himalaya raggiunge una media pari a 12.000 mm di pioggia all'anno (nella località di Mawsynram), ma è il pluviometro di Cherrapunji, riportato su tutti i libri di meteo­rologia, il detentore a tutt'oggi del primato assoluto noto sulla terra della quantità di pioggia raccolta in un anno. Si tratta dell'incredibile altezza di 26.461 mm totalizzata dall'agosto 1860 al luglio 1861: vale quanto un nostro condominio di 10 piani!

Le precipitazioni si misurano in millimetri e comprendono oltre alla pioggia anche la neve e la grandine fuse. Si tratta semplicemente dello spessore d'acqua che si raccoglierebbe al suolo se non defluisse o evaporasse: 1 mm è pari ad 1 litro per ogni metro qua­dro di superficie. Quindi, a Cherrapunji caddero quel­l'anno 26.461 litri per metro quadrato. Impressionante è anche la massima quantità d'acqua che sia mai cadu­ta in un solo giorno, pari a 1.870 mm, un nubifragio che si abbatté su Cilaos, nelle isole della Réunion il 16 mar­zo 1952, guarda caso proprio alla base di una montagna di 3069 metri in mezzo all'Oceano Indiano. Potrebbe sembrare un valore inaudito per i nostri climi, eppure ha avuto un rispettabile tentativo di emulazione durante l'alluvione di Genova dell'ottobre 1970, nella quale si favo­leggia di ben 970 mm raccolti in 24 ore, anche qui era l'aria umida proveniente dal Mediterraneo costretta a sollevarsi contro i primi contrafforti dell'Ap­pennino Ligure.

 Qualche volta, anche in assenza di aria umida dal mare, forti temporali estivi possono dar luogo a nubifragi brevi ma molto intensi: il primato mondiale è di Füssen, sulle Prealpi Bavaresi, dove il 25 maggio 1920 caddero ben 126 mm d'acqua in soli 8 minuti.

Veniamo ora alle montagne italiane. Il loro ruolo nell'equilibrio idrologico di un clima mediterraneo co­me il nostro, è fondamentale, soprattutto per far fron­te alla siccità estiva. La maggior piovosità dell'Appen­nino, oltre che favorire la vegetazione locale, costitui­sce il serbatoio dell'acqua per l'agricoltura ed i consumi potabili e industriali della costa, spesso stretta dalla ca­renza idrica. Roma, il cui trimestre estivo totalizza solo 90 mm di piogge, attinge acqua dalle sorgenti carsiche del Peschiera, a loro volta alimentate dal massiccio dei Monti Nuria e Velino, dove la pioggia del trimestre estivo su­pera i 200 mm. Anche l'Acquedotto Pugliese capta a Caposele 150 milioni di metri cubi d'acqua all'anno dai bacini montuosi di Avellino e Benevento, destinati  (perdite a parte…) ai riarsi ripiani della Capitanata.

La zo­na più piovosa dell'Appennino è collocata sulle Alpi Apuane, dove cadono in media 2.700 mm all'anno, frut­to delle correnti umide sud‑occidentali che appena la­sciato il Tirreno, nel giro di pochi chilometri, impattano contro le vette marmoree di oltre 2000 metri d'altezza. Ma forse il luogo montuoso dove meglio si conosce la pluviometria, sono le Alpi. Montagne studiate e misu­rate da secoli. La loro pioggia alimenta alcuni tra i più maestosi fiumi d'Europa: il Rodano, il Reno, il Danubio e il nostro Po. I pluviometri la misurano in qualche lo­calità da quasi due secoli, per esempio al Gran San Ber­nardo, ma in migliaia di altre stazioni da circa cent'an­ni.

Non che sia impresa facile. Benché il pluviometro sia tra gli strumenti più semplici, ci sono problemi an­cora oggi insoluti, come l'azione di disturbo esercitata dal vento che impedisce a una parte più o meno rile­vante delle precipitazioni di essere misurata. E anche il recente uso del radar meteorologico per la misura del­le precipitazioni su vaste aree in modo continuo (quin­di non limitato al campionamento “per punti” dei plu­viometri) presenta seri limiti d'impiego proprio nelle aree montuose, a causa dell'azione di schermatura e di riflessione sul raggio radar da parte del rilievo.

Spesso i pluviometri sono posti nelle località abitate di fondo­ valle e mancano dati sui versanti o sulle zone d'alta quota. Si è dunque costretti a compiere varie stime con metodi statistici e gli errori che si compiono possono essere anche superiori al 20%. Per esem­pio, la regola che stabilisce un aumento regolare delle precipitazioni con la quota, è applicabile solo in alcune aree esterne alla catena alpina, e vale in media 2 mm all'anno per metro di quota. Al contrario vi sono valli interne dove questo gradiente è molto più ridotto, circa 0,6 mm per metro, o è addi­rittura negativo, vale a dire che le precipitazioni de­crescono con la quota. Non esiste dunque una sola regola valida ovunque, ma ogni località presenta sfaccettature differenti che si riflettono poi sulla vegetazione, sull'agricoltura, sul turismo, sulla pro­duzione idroelettrica, sui rischi idrogeologici...

Una splendida cartografia delle precipitazioni sul­l'intera regione alpina, dal Rodano a Vienna, è stata recentemente pubblicata (2001) nell'Atlante Idro­logico della Svizzera. Elaborata da Manfred Schwarb e collaboratori, essa considera circa 6.000 stazioni pluviometriche con una distanza media re­ciproca di 10‑15 km, una delle densità più elevate disponibili al mondo in una regione montuosa. No­nostante ciò, gli stessi Autori mettono in guardia sulla difficoltà di cartografare i dati pluviometrici in territori dalla morfologia complessa.

Co­munque, la carta di Schwarb è più che sufficiente per farsi un'idea della distribuzione della pioggia sulla catena alpina, e scoprire così che la zona più umida in assoluto è sulle Alpi Giulie, dove il pluvio­metro di Musi, piccola località friulana a circa 600 metri di quota, totalizza 3.300 mm all'anno: da un paio d'anni il pluviometro più bagnato d'Italia è però fuori servizio! Altri nuclei umidi sono in Canton Ti­cino e sul Lago Maggiore, con valori medi annui di circa 2.200 mm (proprio a Gignese, sul Lago Maggiore, c'è forse l'unico museo al mondo dedicato all'ombrel­lo!), e ancora sul versante settentrionale dell'Ober­land bernese.

Esistono anche delle isole di siccità, dette di "xericità intralpina", sono le valli interne, riparate quasi da ogni lato dall'ingresso delle masse d'aria umida. La Valle d'Aosta, il Vallese e l'Alto Adi­ge ricevono circa 500 mm all'anno, una piovosità ti­pica da regione arida: non per niente la vite vi pro­spera pur a poca distanza dai ghiacciai. A Silandro, quota 718 metri in Val Venosta, la media annua è di soli 489 mm, una delle località più asciutte delle Al­pi, in buona compagnia di Aosta, dove la media è di 530 mm.

Non solo la quantità, bensì anche la distri­buzione nel corso dell'anno è importante. Sulle Alpi italiane i regimi pluviometrici sono assai variegati: si passa da quello "sublitoraneo" con due massimi in primavera e autunno e due minimi ‑ quello più pro­nunciato in inverno e l'altro più sfumato in luglio ‑ tipico delle Alpi piemontesi, allo spiccato regime "continentale" con minimo invernale e massimo estivo, tipico dell'Alto Adige e delle Dolomiti. Quan­do si fa una climatologia "media" non si tiene conto della variabilità tra un anno e l'altro, che alle nostre latitudini può anche essere sorprendente.

 

Il regime può cambiare in anni singoli o gruppi di anni, le quantità possono variare dalla metà al doppio della media. Difficile stabilire un anno che sia stato siccitoso op­pure piovosissimo per le intere Alpi: ogni regione ha avuto il suo. Comunque, tra quelli asciutti spicca il 1921: ad Aosta si ebbero solo 240 mm e 275 a Silan­dro, valori da fascia predesertica. Quanto agli anni piovosi, le località ticinesi e friulane possono talora sfiorare i 5.000 mm di acqua, valori da climi monso­nici. Un cenno ancora al numero dei giorni con pioggia in un anno: variano in media tra circa 70 nelle zone asciutte a poco più di un centinaio nelle località più umide. Se ora vogliamo dare una prospettiva storica al feno­meno precipitazioni in area alpina, ci troviamo nuo­vamente alle prese con una grande variabilità: piove di più o di meno rispetto al passato? E piove con più intensità? Nell'ultimo secolo sulle Alpi non si osservano tenden­ze rilevanti, solo una pronunciata alternanza di perio­di piovosi e di altri più secchi. Nel Sud Italia sembrerebbe invece delinearsi una riduzione degli apporti. Anche i risultati derivanti dall'analisi statistica dell'in­tensità giornaliera di precipitazione sono controversi.

Si dice che in questi ultimi anni l'intensità della pioggia stia aumentando, causando così maggiori alluvioni, ma al momento queste impressioni non sono avvalorate da uno studio su ampia base geografica. Solo Chri­stoph Frei ha trovato per la Svizzera, a fronte di una seria e documentata analisi, un leggero aumento nella frequenza delle precipitazioni intense nel trimestre in­vernale, un risultato però non valido per il versante meridionale italiano, a causa della diversa circolazione atmosferica prevalente. Un primo approccio al problema è stato tentato da chi scrive per la Valle d'Aosta, ma è un cam­po in cui c'è ancora molto da fare, anche perché, se pure l'aumento dei fenomeni estremi non è in questo momento identificabile, esso è tuttavia tra le più pro­babili evoluzioni del sistema climatico, attese a seguito del riscaldamento globale in atto.

Se in questo articolo è stato possibile descrivere a vo­lo d'uccello le principali caratteristiche della pluvio­metria delle Alpi e degli Appennini, lo si deve a pochi uomini lungimiranti che circa un secolo fa misero le basi per l'osservazione capillare delle precipitazioni nelle aree montane. Fu Francesco Denza, fondatore della Società Meteorologica Italiana, a costituire tra il 1865 e il 1894 il primo nucleo di oltre 200 pluviometri di montagna, la cui eredità passò nel 1913 alla rete del Servizio Idrografico Italiano, per il quale lavorarono personalità del calibro di Filippo Eredia, insieme con l'Ufficio Centrale di Meteorologia ed Ecologia Agraria.

 Fino al 1980 la rete del Servizio Idrografico garantì ‑ con oltre 5.000 pluviometri - una perfetta conoscenza delle precipitazioni sulle montagne italiane, pubbli­cando regolarmente i dati nella prestigiosa serie degli «Annali Idrologici». Purtroppo gli ultimi vent'anni non sono stati all'altezza dei fondatori d'inizio Novecento: il Servizio Idrografico si è lentamente degradato, mol­te stazioni sono state soppresse, la qualità dei dati è degenerata, le pubblicazioni sono state interrotte.

Qualche anno fa il glorioso Servizio Idrografico Nazionale è stato devoluto alle Regioni, annientando di fatto una razionale unità che le sezioni locali avevano costruito sui confini di bacino piuttosto che su quelli ammini­strativi, disperdendo una conoscenza, un metodo omogeneo e collaudato, che l'avvento del calcolo auto­matico e della teletrasmissione avrebbero potuto ren­dere ancora più efficiente e con minimo sforzo.

Invece siamo oggi in uno stadio di infelice frammentazione che per molti anni impedirà di disporre di una visione di sintesi delle misure, assolutamente necessaria nel campo della climatologia.

 La magnifica carta delle pre­cipitazioni medie d'Italia del periodo 1921‑1950, pubblicata dal Servizio Idrografico nel 1961, fu eseguita a mano, senza calcolatori, senza plotter, GIS e quant'al­tro. A tutt'oggi rimane l'unico documento omogeneo e affidabile che descriva la pioggia italiana. Compilare oggi la carta 1951‑2000, è diventato, paradossalmen­te, un obiettivo più difficile da raggiungere.

 Luca Mercalli - Presidente Società Meteorologica Italiana (TO)

Roberto Regazzoni – Socio S.M.I. – Olmo al Brembo (BG)

 

 

Rivisto il 06 settembre 2005

Roberto Regazzoni

Le precipitazioni nelle aree montane

2 – Nelle Orobie

 

Veniamo ora alle nostre Orobie. Per definire le fortune pluviometriche di una catena montuosa non basta la sua espansione e complessità, o l’altezza pronunciata delle sue cime.

E non basterebbe alle Orobie una geologia benigna, rispetto alle Dolomiti, ad esempio, (cosa che gli ha permesso di creare e mantenere ben 190 laghetti naturali riconosciuti, in una piccola catena di montagne come la nostra, ampia poco più di 1.000 km2  e con una altezza media di poco superiore ai 2000 metri), se non concorresse a questo in modo determinante l’orografia e la posizione geografica rispetto al Mediterraneo, nel fornirgli uno fra i più elevati apporti di precipitazioni di tutto il territorio italiano.

La media delle precipitazioni annue supera di poco i 2.000 mm, quasi il doppio di quel che piove a Bergamo e quasi il triplo di quel che piove a Milano. La distribuzione mensile, a parte qualche recente eccesso autunnale, è abbastanza regolare negli altri periodi, toccati dalle perturbazioni organizzate nelle stagioni intermedie ma in particolare riforniti dal rilevante contributo dei temporali estivi. E’ questo un importante fattore, che va a compensare la tradizionale scarsità di piogge in pianura nei mesi caldi, ben rilevabile dalle ricorrenti esigenze estive di irrigazione dell’agricoltura bergamasca.

Statisticamente, è febbraio il mese più scarso, e non solo per i suoi giorni ridotti, ma forse perchè derubato quasi sempre della neve invernale da gennaio, e troppo in anticipo sul ritorno di piovosità primaverile, che inizia con marzo.

I contributi maggiori arrivano dai settori meridionali, col Mediterraneo tiepido a dirigere le operazioni negli episodi di libeccio da sudovest o di scirocco da sud o sudest. In questi casi, le grandi masse nuvolose umide, pilotate da depressioni approfonditesi sul Mar di Corsica, portano una situazione di sbarramento proprio contro le Orobie, lo stau, come lo chiamano gli svizzeri, e il conseguente sollevamento forzato innesca precipitazioni sempre più importanti man mano si risalgono le Valli.

Le situazioni alluvionali (Val Brembana - luglio 1987) e gli episodi franosi degli ultimi anni (Camorone - novembre 2002) sono sempre da ricondurre a questa provenienza del maltempo.

Per contro, quasi nulla ci arriva da nord, quando le precipitazioni si scaricano sul versante esterno delle Alpi e si fermano sulle creste di confine della Valtellina, trasformandosi per noi nel tiepido favonio che scende a scaldare e illuminare le vallate meridionali delle Orobie.

I disturbi meteorologici da est sono poco avvertiti nelle Orobie, che rimangono defilate e allineate in questa situazione, per cui solo nevischio o pioviggine ci possono disturbare, mentre il grosso dei contributi di precipitazione finirà sulle Alpi Piemontesi dell’ovest, in un classico e ben noto “cul de sac” meteorologico, ne sa qualcosa il Cuneese.

Rimane il tempo da ovest, dalla Francia, forse il più frequente come presenza nuvolosa, ma in questo caso la distribuzione delle precipitazioni è abbastanza ripartita su tutti i versanti delle Alpi, e anche le Orobie non esplicano una particolare o diversa azione orografica in proposito.

L’orografia e la posizione geografica, quindi, sono il motivo principale della diversità pluviometrica delle Orobie. Lo evidenzia la Valtellina a nord di noi, vicinissima ma molto più asciutta in tutte le stagioni, con meno neve di noi e con molti meno temporali estivi, ma per contro con una diversa e più favorevole distribuzione verticale delle temperature, anche a causa della maggiore ampiezza del fondovalle.

E’ per questo connubio di più sole e meno pioggia che dietro le creste delle Orobie, in mezzo alle rocce e fino ai 1000 metri di quota, crescono benissimo uva, mele e grano saraceno, mentre ai bergamaschi delle alte Valli non rimane che puntare sui soliti 2 o 3 raccolti di fieno e nient’altro…

Ma sarà forse questo almeno a rendere migliore e più profumato il nostro Formai de Mùt Doc, checché ne dicano quelli di là della Valle del Bitto?

Eccovi alcune osservazioni sulle differenze locali di precipitazione nell’ambito delle Orobie.

 

·        Sono privilegiate dalla pioggia tutte le alte Valli, quindi piove di più man mano ci si avvicina alle montagne, e piove di più man mano si sale di quota, per quanto detto nella parte generale.

·        E’ importante però per un gruppo montuoso anche la vicinanza ad evidenti fornitori naturali di umidità e di calore, come possono essere ad esempio il lago di Como ed il lago d’Iseo, per cui le zone adiacenti (ad es. l’area del Tre Signori), in funzione a volte anche della direzione di arrivo del vento che accompagna il maltempo e della sua abilità nell’infilare direttamente o meno le vallate, possono contare su maggiori apporti di precipitazione.

·        Lo stesso discorso vale per la frequenza dei temporali estivi, più numerosi di solito nelle aree con molti laghi alpini o bacini artificiali in quota (ad es. l’area Calvi-Gemelli-Cernello).

·        Per contro, anche una montagna isolata e “interna” ma di una certa altezza e più a sud delle altre, diventa la prima a condensare sulle sue pendici l’umidità quotidiana dalla pianura, e può disporre così di più temporali o rovesci estivi (zona Arera - Branchino - Alben, in Val Serina).

·        Anche la frequenza delle piogge in certi paesi montani di fondovalle è spesso legata all’incombere e alla verticalità delle montagne circostanti. Citiamo la zona della Val Fondra in Alta Valle Brembana, ad esempio, dove una nuvola estiva sul Pietra Quadra spesso è sufficiente per far arrivare brevi spruzzate di pioggia pomeridiane fino alla piana di Branzi. Del resto, ogni nostra zona delle Orobie ha il suo riconosciuto e conclamato “pisciatoio” estivo…!

·        Causate anche queste dall’orografia, citiamo la particolarità delle “ombre pluviometriche”, cioè delle zone con meno precipitazione perché riparate o sottovento ad una catena montuosa. In questo caso, le maggiori precipitazioni si depositano sul versante investito dal maltempo. Succede, ad esempio, per la Val di Scalve, a volte con evidenti differenze fra Castione e Schilpario quando, col maltempo in arrivo da sud, il massiccio della Presolana esercita a volte questo tipo di azione. Ma piccole differenze e anomalie di piovosità di questo tipo fra un paese e l’altro sono ben note agli abitanti di tutte le nostre Valli.

Non possiamo supportare queste ultime osservazioni con dati numerici a corredo, e lo diciamo anche con un po’ di rammarico per sottolineare e segnalare la difficoltà di reperire dati di precipitazione sulle Orobie.

La bassa densità di pluviometri installati sulle Orobie, e la dispersione di quelli funzionanti fra vari Enti e Società private, spesso gelose dei loro archivi e poco propense a qualunque interscambio o alla messa a disposizione dei dati, rende molto difficile fare di meglio.

Le valutazioni sulla piovosità delle Orobie nascono quindi più che altro da osservazioni personali, durante una frequentazione assidua e ormai pluridecennale delle nostre montagne.

Ma è un bagaglio di esperienze meteo ed ambientali che è facile da acquisire, e che è alla portata di qualsiasi frequentatore delle nostre montagne: basta soltanto non correre troppo, e fermarsi ogni tanto a guardarsi intorno!

Lasciamo alla vostra interpretazione due grafici di piovosità - mensile ed annuo - relativi alle Orobie e costruiti con i dati di precipitazione raccolti nel periodo 1977-2004 dalla stazione meteo di Olmo al Brembo, 560 m, in Alta Val Brembana.

Ovviamente, hanno valore esplicito per questa precisa area. Adattamenti a località o quote diverse, situate pure nelle Orobie, devono necessariamente tener conto delle variabili di cui abbiamo parlato in precedenza nel commento.

 

Roberto Regazzoni – Socio S.M.I. – Olmo al Brembo (BG)

 

Rivisto il 06 settembre 2005

Roberto Regazzoni